Sotto la sua guida il sindacato dei cattolici conquista nel 1955 la maggioranza assoluta nella commissione interna della Fiat, dove fino a pochi anni prima non raggiungeva il 15%.
Sono gli anni duri della repressione anticomunista, dello scontro dentro e fuori della fabbrica che vede contrapporsi due linee all’interno della FIM-CISL: una più conflittuale e l’altra, guidata da Edoardo Arrighi, marcatamente aziendalista.
Così tra il 1954 e il 1958 si consumano due scissioni nell’ambito CISL alla Fiat che portano successivamente alla nascita del SIDA, sindacato filoaziendale. Per contrastare questa linea Donat-Cattin espelle dalla CISL cento rappresentanti di commissione interna, perdendo così la maggioranza e scendendo ai livelli più bassi del dopoguerra. Una scelta coraggiosa, appoggiata pienamente da Giulio Pastore che rilancia lo sforzo unitario delle confederazioni sindacali.
Il legame di Carlo Donat-Cattin con la CISL resta saldo negli anni, anche se dichiara forte perplessità sull’incompatibilità, decisa dalla Confederazione, tra incarichi politici e sindacali, ritenendo che questo privasse la Democrazia Cristiana di quadri validi, facendone venir meno la matrice interclassista. Una battaglia tesa anche a contenere le spinte extraparlamentari che si manifestavano all’interno del sindacato. Come ministro del Lavoro è uno dei protagonisti dell’ “autunno caldo” del 1969.
La sua forte mediazione, con la chiusura del contratto dei metalmeccanici dopo la strage di piazza Fontana, permette il raggiungimento di livello economici europei, aprendo la strada a fondamentali conquiste normative.
A metà degli anni 80 si impegna, dentro e fuori della DC, nella difesa dell’intesa raggiunta con il governo sul taglio della contingenza. Battaglia che sfocia nel referendum, promosso dalla CGIL, ma vinto dall’ala riformista del sindacato.