In occasione del 25 aprile, nella giornata in cui si ricorda l’Anniversario della Liberazione, la Fondazione Donat-Cattin propone la lettura di un fascicolo tratto dai suoi archivi.
In occasione del 25 aprile, nella giornata in cui si ricorda l’Anniversario della Liberazione, la Fondazione Donat-Cattin propone la lettura di un fascicolo tratto dai suoi archivi.
L’inserto, che fa parte de I Quaderni de Il Popolo Nuovo, curato da Valdo Fusi e Carmelo Oddone, finito di stampare nello Stabilimento Poligrafico Editoriale di Carlo Fanton il 30 settembre 1945, consta di ben 72 pagine, arricchite da un notevole comparto fotografico, fornito dalla Ditta Moisio di Torino, dagli archivi della Reale Questura e delle Carceri Giudiziarie, oltre che dai testimoni degli eventi riportati.
Il “documentario” mette al centro la partecipazione cattolica alla Resistenza. Si compone di testimonianze dirette di chi ha condotto la guerra partigiana, coinvolgendo i ruoli più disparati: dai comandanti alle staffette, dai sacerdoti impegnati in prima linea alle vedette, con racconti tanto di uomini quanto di donne.
Dal reportage emerge una ricostruzione precisa delle immense difficoltà che ha comportato condurre la guerra di Resistenza che ha portato alla liberazione del nord Italia, vittima dell’occupazione nazifascista. Il racconto parte dall’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio con le forze alleate e dell’immediata invasione tedesca, fino alla liberazione della città di Torino e del Piemonte. Vengono ripercorse diverse fasi della Resistenza piemontese: le azioni partigiane condotte nelle vallate piemontesi, gli scambi di prigionieri, le testimonianze dai campi di prigionia dove molti combattenti furono deportati, ecc.
Un denso capitolo è destinato al processo di Torino del 3 aprile 1944, tentativo del regime fascista di stroncare la Resistenza piemontese attraverso la condanna esemplare alla pena capitale dei membri del Comando Militare del CLN piemontese. Il tutto rivive attraverso i testimoni di quel processo e soprattutto tramite il ricordo dei partigiani che furono condannati “solamente” all’ergastolo, sopravvivendo.
Il Popolo Nuovo
Il Popolo Nuovo è stato un quotidiano di area cattolica pubblicato a Torino dal 1945 al 1958. Il giornale esce per la prima volta il 28 aprile 1945, stampato nella tipografia de La Stampa insieme a L’Opinione e a Giustizia e libertà. Nasce come espressione di un mondo cattolico vario, con alla base una comune fede democratica di orientamento in maggior parte repubblicano. Tuttavia, dal numero 52 (26-27 giugno 1945) aggiunge nella testata la dicitura Quotidiano della DC.
Vi trovano spazio diverse firme, differenti per provenienza e generazione: da esponenti del primo movimento sociale cattolico a cavallo tra XIX e XX secolo come Alessandro Cantono, passando per dirigenti dell’Azione Cattolica (che pure non hanno grande incidenza sull’orientamento generale), collaboratori ed intellettuali del calibro, tra gli altri, di Gioacchino Quarello (primo direttore), Augusto Del Noce, padre Enrico di Rovasenda, Carlo Trabucco, Valdo Fusi e personalità al di fuori della cerchia piemontese come Attilio Piccioni, don Primo Mazzolari e soprattutto don Luigi Sturzo, impegnato in articoli di politica interna, di questioni di natura istituzionale e soprattutto di politica estera. Proprio l’insegnamento di Sturzo è alla base dell’ispirazione repubblicana del periodico, tanto da salutare come una vittoria l’esito del referendum istituzionale del 2 giugno 1946.
Il giornale sarà anche la fucina di un gruppo di giovani collaboratori, molti dei quali provenienti dall’esperienza della Resistenza. Tra questi il responsabile della cronaca sindacale Carlo Donat-Cattin.
Il quotidiano si afferma nel momentaneo vuoto lasciato dalle testate di maggiore tradizione, facendosi strada nei primi anni come unica uscita pomeridiana e diffondendosi presto in tutta la provincia. Il riuscito accostamento di cronaca, tematiche letterarie e artistiche, articoli dedicati al mondo del lavoro, riflessioni d’ampio respiro, uniti all’indipendenza di giudizio lasciata ai collaboratori, conquista un’opinione pubblica affamata di stampa libera. Proprio il largo spazio concesso al dibattito delle idee, il cui apporto è ascrivibile soprattutto alla più giovane generazione di intellettuali, costituisce la linea portante de Il Popolo Nuovo.
Pur nell’eterogeneità delle speculazioni e dei relativi esiti, il giornale assume fin da subito una impostazione progressista. La rivista si caratterizza per un’idea di fondo di democrazia abbastanza precisa, ma che emerge con più chiarezza e vigore dagli articoli di Giuseppe Grosso e padre Arcozzi Masino, definibile, attraverso le parole di Francesco Traniello, una «linea d’ispirazione personalistica, sociale ed autonomistica». Ne discende una visione di democrazia imperniata in maniera progressiva sulle autonomie locali ed associative, con forme man mano più dirette di partecipazione alla vita pubblica da parte del popolo. Centrale è il riconoscimento della politicità intrinseca della vita associata e dell’associazionismo libero, in contrasto con l’espandersi della forma partito come canale principale del vivere politico. Per quel che riguarda la principale area di riferimento, quella cattolica, Il Popolo Nuovo si erge a difesa dell’autonomia del neonato partito democratico-cristiano come formazione politica interclassista, che tuttavia fa propria un’immagine di civiltà cattolica italiana da custodire e promuovere, non esente da accenni di stampo integralistico.
Il quotidiano si attesta sulla linea degasperiana del partito di centro che guarda a sinistra. Non a caso Il Popolo Nuovo destina molte colonne a temi concernenti il sistema economico, le vicende sindacali, gli assetti e le riforme sociali. Si può definire sinteticamente la prospettiva del giornale nei termini di una democrazia del lavoro, a favore dell’unità sindacale come aspetto imprescindibile della dinamica democratica, contro la politicizzazione del sindacato stesso, il quale dovrebbe conservare funzioni esclusivamente economico-sociali, e la possibile esistenza di un partito unico del mondo del lavoro.
Con alcune differenze interne, i collaboratori del giornale concordano fin dalle prime uscite a definire il fascismo sotto un duplice aspetto: da un lato come «violenza di parte legalizzata», dall’altro come «statalismo limitativo e coattivo rispetto alle libertà degli individui e delle formazioni sociali». Ne deriva l’obiettivo primario della reintegrazione di tali libertà.
Gabriele Formigaro