Claudio Donat-Cattin, il Presidente della nostra Fondazione, ci ha lasciati da venti giorni. Il tempo giusto perché l’emozione per la sua morte improvvisa lasci il posto a un ricordo più pacato e a una riflessione meditata sul lascito che il lavoro fatto insieme ci affida. Scrivo io queste poche righe, ma penso di farlo interpretando il pensiero dei collaboratori del nostro Istituto, che, tutti, hanno avuto modo di stabilire con lui rapporti non occasionali e non soltanto formali.
Claudio diventa presidente della Fondazione nel 2003, succedendo a Siro Lombardini e a Giovanni Porcellana. Del nostro Istituto è stato nel 1992 uno dei principali fondatori. Convinto che il modo migliore per onorare la memoria del padre fosse lo studio delle sue idee e del contesto storico, politico e culturale in cui erano maturate. Se oggi abbiamo a Torino un luogo in cui il cattolicesimo politico del Novecento è oggetto di ricerca storica e di approfondimento critico lo dobbiamo all’intuizione di allora, all’impegno di un gruppo di amici, e soprattutto alla volontà di Claudio e della famiglia Donat-Cattin. Della Fondazione Claudio è stato l’animatore e il punto di riferimento. L’ha fatta diventare una presenza significativa nel panorama culturale torinese e nazionale. Senza la sua dedizione e il suo impegno questi risultati non sarebbero stati raggiunti.
Era tuttavia consapevole che il solo lavoro storico, senza uno stretto legame con l’attualità, rischia di essere sterile. Anche nei nostri frequenti scambi di vedute insisteva sulla necessità di caratterizzare la Fondazione per la capacità di affrontare le grandi questioni contemporanee, interpretandole alla luce della nostra specificità culturale. Su questo versante dell’attività della Fondazione dava il meglio delle sue capacità progettuali e organizzative e delle sue molteplici relazioni nel mondo dell’informazione, delle istituzioni e della politica. I titoli delle nostre iniziative e la qualità degli interlocutori sono lì a testimoniarlo. Poneva attenzione ai contenuti, ma sottolineava la necessità di comunicarli in modo efficace. Abbiamo sovente scherzato su questo punto, esagerando i nostri rispettivi punti di vista, ma l’attenzione alla comunicazione era un tratto importante della sua modernità, oltre che un’eredità della sua non comune esperienza professionale.
Nelle ultime settimane della sua vita abbiamo discusso del programma di attività per il 2023, che avrebbe presentato al Consiglio di Amministrazione nel mese di gennaio. Come al solito gli avevo promesso un testo riassuntivo delle iniziative e dei progetti, su cui fare una valutazione conclusiva. Programmavamo di vederci nel periodo natalizio. Non è stato possibile. Ed ora, nel faticoso tentativo di riordinare gli appunti mentali di una relazione interrotta, il nostro rapporto professionale cede il passo al ricordo della dimensione umana. Mi ha sempre colpito la sua capacità di lavoro e l’impegno, quasi la caparbietà, con cui seguiva i progetti che gli stavano a cuore. Era coinvolgente, trasmetteva entusiasmo, imponeva ritmi serrati ma li stemperava con un sorriso e una battuta. Era un generoso, con un grande senso dell’amicizia. Rispettava il lavoro e le opinioni dei suoi collaboratori. Ci ha dato fiducia, guidando un’impresa difficile: far crescere una voce libera, nata nel solco della cultura politica e sociale di ispirazione cristiana, capace di rivendicare il ruolo della propria storia e di parlare della contemporaneità con uno sguardo attento alle nuove generazioni. Come aveva più volte ribadito in numerosi appuntamenti pubblici della Fondazione: “Vogliamo lasciare un’eredità ai giovani perché, nella memoria del passato, trovino la spinta per un futuro che riconduca a valori e principi che mutano con la società, ma che sono radicati nella Fondazione Donat-Cattin”.
Dobbiamo a lui i risultati raggiunti. E alla sua memoria l’impegno a proseguire.
Gianfranco Morgando
Direttore Fondazione Carlo Donat-Cattin