Il progetto integrato Lavoro e partecipazione, realizzato negli anni 2019 e 2020 dagli enti del Polo del ‘900 Fondazione Donat-Cattin, Fondazione Nocentini, Fondazione Gramsci e Istituto Salvemini coordinati da ISMEL – Istituto per la Memoria e la Cultura del Lavoro, dell’Impresa e dei Diritti Sociali, vuole analizzare e approfondire il ruolo della partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa nella seconda metà del ‘900. In particolare, si è analizzata la situazione alla Fiat, all’Olivetti, nelle Partecipazioni Statali e si sono osservate alcune realtà europee. Gli enti coinvolti hanno realizzato interviste a testimoni, riflessioni video e saggi di studiosi del fenomeno.
L’esperienza delle Partecipazioni Statali ha caratterizzato in modo significativo lo sviluppo economico e industriale italiano del secondo dopoguerra. Con una serie di testimonianze di protagonisti diretti di quell’epoca abbiamo provato a tracciare un breve quadro di questa esperienza e mettendone in evidenza gli aspetti salienti.
Per approfondire il tema, è stato possibile individuare il ruolo svolto dalle Partecipazioni Statali in diversi ambiti: la politica industriale del Paese, la politica di superamento degli squilibri territoriali dell’economia italiana e il ruolo della partecipazione dei lavoratori nei rapporti sindacali con l’impresa. Le Partecipazioni Statali decisero di darsi una autonoma organizzazione di rappresentanza degli interessi, l’Intersind.
Soltanto negli anni Novanta questo modello sarà superato con l’adesione delle aziende a partecipazione statale a Confindustria. Nelle interviste emergono anche i ruoli dei docenti e degli esperti al servizio dei ministeri (Lavoro, Bilancio e Industria) e quello dei manager pubblici che hanno contribuito alla realizzazione in Italia di una moderna cultura dell’impresa. Poco meno di trent’ anni fa si avviava in Italia la lunga stagione delle privatizzazioni, alimentata dalla convinzione che la gestione privata delle imprese portasse guadagni di efficienza difficilmente raggiungibili con la gestione pubblica. Altrettanto importante era l’obiettivo di riduzione del debito pubblico, anche come segnale ai mercati. I risultati sono stati variegati tra imprese e settori ma, nel complesso, positivi. Oggi, il paese sembra voler tornare sui suoi passi. Da più parti si sollecita una presenza forte dello stato nell’economia non come semplice regolatore bensì come attore principale. L’evoluzione dell’intervento pubblico nell’economia in Italia ha radici lontane. Le società pubbliche rivestono un ruolo di primaria importanza.
Il nostro Paese ha una lunga tradizione di intervento statale nell’economia. Il primo intervento degno di nota è stato quello relativo all’istituzione dell’IRI per soccorrere alcune banche e imprese a seguito della crisi del 1929. Era il 1933. Negli anni successivi, dopo il secondo dopoguerra, lo Stato ha esteso il proprio raggio d’azione in tutti i rami dell’attività economica, in particolar modo nei settori delle infrastrutture, degli idrocarburi, del manifatturiero, delle utilities. Tra le venti più grandi società per fatturato, nel 1991, dodici erano a totale partecipazione pubblica. Negli anni Novanta la situazione cambia a causa della grave congiuntura economica e finanziaria derivante, in parte, dai fenomeni corruttivi che riguardarono anche le partecipazioni statali e che causarono uno shock negativo all’economia italiana. Iniziò a sgretolarsi l’assetto centralista dell’Amministrazione pubblica a favore di un decentramento anche con riferimento alle modalità di interveqnto pubblico nell’economia. Per tale ragione, si decise di lanciare un programma di privatizzazioni al fine di risanare i conti pubblici, così da soddisfare i criteri di convergenza per l’adesione alla terza fase dell’Unione economica e monetaria dell’Unione europea.
La crisi dello Stato sociale e l’implementazione di politiche neoliberiste hanno portato alla privatizzazione di alcuni settori economici in cui l’intervento pubblico era pervasivo. Ciò è avvenuto principalmente a livello di partecipazioni statali, dove le società erano presenti, in particolar modo, in settori centrali dell’economia, a differenza delle amministrazioni pubbliche locali, le cui società si sono rivelate delle loro estensioni, prive di una autonoma capacità di sopravvivenza sul mercato e caratterizzate da «vitalità riflessa» La diffusione del fenomeno delle partecipazioni pubbliche è nazionale, ma l’ambito di governo locale ha rappresentato e tuttora rappresenta, il livello istituzionale in cui il modulo societario è stato utilizzato con maggior frequenza, come uno degli strumenti legati al principio di sussidiarietà consacrato nell’art. 118 della Costituzione.