Idee per la ripresa di Torino e del Piemonte

L’emergenza sanitaria coglie la nostra Regione e il suo capoluogo in una fase difficile della loro storia. I profondi cambiamenti della struttura produttiva, e in particolare di quella industriale, pongono il problema di individuare una nuova prospettiva, che richiede idee e risorse straordinarie. Molti ne stanno discutendo, nelle sedi accademiche, dell’informazione, delle forze sociali e della cultura. Anche la Fondazione Carlo Donat-Cattin avvia un forum di discussione sui temi del futuro economico e sociale di Torino e del Piemonte. Per cominciare abbiamo posto tre domande ad economisti, imprenditori, amministratori e dirigenti politici e sindacali. Pubblicheremo le loro risposte e proseguiremo allargando la rassegna di opinioni con interviste, articoli e segnalazioni.

Enrico Salza

Imprenditore,
già presidente del gruppo bancario Intesa Sanpaolo

 

 

Domande a Enrico Salza

Quali emergenze investono il Piemonte e quali settori richiedono interventi rapidi e straordinari?
Ringrazio, di essere stato invitato a riflettere su questi temi che da sempre mi appassionano. In questo momento della storia credo per altro che esista un dovere etico nel mettere in comune tutte le risorse imprenditoriali e intellettuali che la nostra regione possiede. Ho parlato di “regione” perché la prima domanda fa riferimento a questa dimensione territoriale, ma voglio dire subito chiaramente che credo sia finito il tempo dei regionalismi. L’orizzonte al quale guardare è infatti quello dell’Europa, e da questa dimensione non possiamo e dobbiamo prescindere. Bruxelles si è mossa faticosamente, soprattutto per resistenze di paesi come l’Olanda. E’ stato comunque finora importante il ruolo della Banca centrale, che ha sostenuto i mercati finanziari e le emissioni dei titoli di Stato, così come quello della Commissione che ha sospeso i vincoli del Patto di stabilità. Molto si dovrebbe ancora fare: mai come ora è evidente che l’uscita dalla crisi potrà essere meno difficile per tutti se prevarrà la solidarietà e la coesione. Siamo di fronte a un accidente della storia per citare Manzoni, che richiederà un immenso sforzo, comune e condiviso per superarne le conseguenze, e che richiederà la capacità di collaborare, nella stessa ottica di interconnessione con la quale le economie avanzate europee e non solo hanno prosperato in questi ultimi tre decenni. La globalizzazione, faro illuminante della più recente storia economica e sociale ha reso il mondo un enorme villaggio, dove tutto è raggiungibile, acquistabile, vendibile. Questo ha rappresentato un vantaggio per il mercato ma ha reso il PIL dei paesi profondamente connesso all’evoluzione sociale ed economica di tanti altri paesi con cui abbiamo relazioni. Come potremmo quindi prescindere da questa realtà, sul piano della programmazione e delle policy di sviluppo e di ripresa? Io credo, in altre parole, che non si tratti di decidere se esistono settori nei quali occorrono interventi più o meno urgenti per i quali agire prima che per altri. È tutta l’economia che è in crescente sofferenza. Di fronte all’ipotesi di un crollo drastico del Prodotto interno lordo sarà necessaria una “manovra shock ” e per approvarla servirà un “patto nazionale” tra tutte le forze politiche. A livello regionale penso che, senza indugio, il Presidente Cirio dovrebbe creare un gruppo di lavoro permanente, riunendo le migliori intelligenze di cui disponiamo, trattando con la stessa urgenza tutti gli aspetti importanti sul fronte economico e sociale. Il primo obiettivo potrebbe essere quello di individuare le risorse su cui poter contare, europee e non. Non un doppione della giunta esistente, ma un pool di economisti, sociologi, sviluppatori d’impresa, giovani e motivati.

Come recuperare finanziamenti da governo, regione, banche e privati?
Cidovrannoessererisorsedestinateallaripresaebisogneràstudiare per capire le regole per ottenerli. La sfida vera sarà piuttosto quella di produrre progetti per i quali investire i fondi disponibili e qui penso, per esempio, al FEI (Fondo europeo per gli investimenti), di cui Alberto Quadrio Curzio scriveva qualche giorno fa sull’HuffPost. Qual è la direzione di sviluppo che il Piemonte vuole perseguire? Siamo stati e siamo ancora terra di industrie medio grandi, di turismo, di tecnologia. Ma le stime recenti ci dicono che il Covid-19 provocherà un calo drastico dei consumi e delle ore lavorate, del PIL. Alcuni settori, ad esempio il turismo, per qualche tempo faticheranno. Bisogna quindi immaginare qualcosa che sia nuovo e in grado di caratterizzarci, qualcosa che possa aggiungersi a quanto la regione già esprime. Faccio un esempio semplice: l’emergenza sanitaria ha reso concreto lo smartworking, per il quale non credevamo di essere preparati. Invece il paese ha reagito bene, le scuole hanno realizzato la teledidattica, le aziende, a cominciare da quella che presiedo, hanno continuato in piena efficacia ed efficienza a lavorare. Perché non specializzarsi in questo settore? Immaginiamo di sviluppare una filiera che si occupi della digitalizzazione avanzata e della fornitura di servizi a distanza. O, ancora: le notizie, non ancora certe ma ricorrenti, ci dicono che a quella che consideriamo “normalità” non torneremo presto perché con questo virus occorrerà convivere. Sviluppiamo una filiera d’impresa in questa direzione, secondo il modello “testa, traccia, tratta” (il modello delle “tre T” dell’OMS). L’emergenza presente ci ha dimostrato con chiarezza l’importanza di una sanità che sia pronta e funzionante. Secondo l’Istituto Mario Negri, ad esempio, l’età media dei dottori in Italia è tra le più alte d’Europa e si calcola che nel giro di una decina d’anni migliaia di questi lasceranno per età. Sostenere l’ingresso di nuovi medici potrebbe essere l’occasione per trasformare un esodo in una opportunità, rinforzando la sanità. E, sullo scenario generale, portiamo a compimento senza ulteriori perdite di tempo, i grandi cantieri su cui siamo impegnati da anni. Ragioniamo su vaste campagne di comunicazione e volontariato: chiediamo ai piemontesi di donare per finanziare iniziative in favore di chi ha bisogno, sosteniamo chi si impegna per la coesione sociale in tutta la regione.

Come dare prospettive e formare i giovani al lavoro superata l’emergenza?
Non si tratta solo dei giovani. Avremo probabilmente un calo severo dei consumi, quindi si tratterà di rimotivare ampi strati della popolazione produttiva, elaborando il trauma economico e sociale per risollevarsi e non rischiare che la resilienza mostrata sin qui si trasformi in depressione. I giovani saranno secondo me i più inclini ad avere e a sviluppare una nuova forma mentis, una modalità di vita e lavoro che si basi su regole sociali nuove e condivise. Giovani e meno giovani hanno bisogno di ritrovare fiducia nel futuro. Per questo vanno evitate le manovre unicamente assistenziali. È giusto garantire un reddito, ma ancora più necessario è garantire continuità nel lavoro e sostegno alle iniziative imprenditoriali. In questa prospettiva sarà indispensabile il ruolo delle Istituzioni perché governo e regioni dovranno trasmettere il senso di una ripartenza che faccia rapidamente riannodare i fili della crescita. Ma attenzione, non con il ritorno dello statalismo, ma con l’affiancamento all’imprenditoria più capace e innovativa. Ci siamo trovati a dover affrontare una dimensione completamente nuova, e drammatica, della vita. Ma almeno una cosa mi appare evidente dopo la mia lunga esperienza: non si affrontano situazioni nuove con vecchie ricette. Abbiamo bisogno di offrire ai giovani una dimostrazione di fantasia e di coraggio. A fianco dei soldi, dei finanziamenti, degli aiuti, necessari e doverosi, ci dovranno essere sostegni concreti alle nuove iniziative, alle start up, alle imprese che aiutino il benessere collettivo soprattutto in due settori fondamentali come la sanità e l’istruzione. Dobbiamo tutti credere che un nostro New Deal sia possibile. Europeo, italiano e quindi anche piemontese.

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