Cenni sull’arte della cura tra Basso Medioevo e Rinascimento
di Cristiana Rosella Alegiani
La peste colpì Londra più volte tra la prima e la seconda metà del Seicento. Un periodo, questo, che coincise con una piena crisi sanitaria in cui la medicina vedeva entrare in discussione molti dei suoi paradigmi. Quella descritta da Defoe, la più drammatica e letale, si sviluppò tra 1664 e il 1665.
Ancora agli inizi del Cinquecento è considerata peste ogni epidemia letale, dunque, non una specifica malattia ma tutti i morbi le cui caratteristiche sono epidemicità e letalità. Per esempio, il complesso pestilenziale che si verificò nella valle del Po intorno al 1528 comprendeva presumibilmente il vaiolo, le febbri terziarie – cioè la malaria – il tifo petecchiale e pochi casi di peste vera e propria.
Si assiste a una difficoltà diagnostica derivante da una confusa e carente capacità di classificazione delle malattie. La diffusione della peste e/o delle malattie pestilenziali con il loro manifestarsi a più riprese in Europa, dopo la “Grande Peste” del Trecento, aveva certamente contribuito a mettere in crisi l’insieme di convinzioni e di certezze su cui la scienza medica era basata, palesemente inadeguate a fronteggiare la situazione.
Le indicazioni, per scampare al flagello della peste, mettevano al primo posto la fuga: cito, longe, tarde. Erano diffusi, anche se insufficienti, alcuni precetti con valore di profilassi, come il Consiglio contro la pistolenza, una sorta di ricettario igienico-sanitario per benestanti di Tommaso del Garbo in cui si raccomandava la calefazione e l’arieggiamento dei locali, la pulizia della persona e la scelta di buoni cibi e buoni vini.
Considerato, a tutti gli effetti, il personaggio di maggior rilievo della medicina pratica del Quattrocento, Michele Savonarola (1385-1466) così riassume come ci si deve comportare in tempo di peste: cinque sono le cosse che per f cominzono che nel tempi di peste fuzir si debbono: fames, fatica, fructus, femina, flutus. Aggiunge poi cinque prescrizioni: le quali pure per f incomenciano: flebotomia, focus, fricatio, fuga, fluxus (debita evacuazione). Dunque, per curare si deve provvedere alla depurazione del corpo e alla eliminazione delle tracce superficiali causate dalla malattia. Si praticano purghe e salassi, cauteri con ferro infuocato, incisioni su bubboni e vene, impacchi e impiastri. Purtroppo questi interventi, talvolta anche costosi, avevano solo l’effetto di debilitare i forti e stroncare i deboli.
Esisteva poi uno svariato elenco di alambicchi per la preparazione di impiastri e unguenti cui si attribuiva un potere magico, con i quali si sperava di ottenere la guarigione.
La più diffusa convinzione in campo medico era ancora che la peste si diffondesse con “l’aere”, fosse frutto di cattivi comportamenti, effetto di una punizione divina per cui venivano richiesti atti penitenziali, processioni e offerte votive.
A metà del Cinquecento la sfiducia popolare nella capacità di cura e nei medici era comprensibilmente dominante. Il controllo delle malattie veniva più efficacemente svolto dagli Uffici di sanità che, ispirandosi a regole di buon senso, svolgevano vari compiti di controllo sulle derrate alimentari e il loro smercio, sulle attività sanitarie, sulle condizioni igieniche delle abitazioni private e dei luoghi pubblici compreso lo smaltimento dei rifiuti, gli scarichi di macellerie e concerie e la nettezza urbana. Gli Uffici di sanità – nati in Italia – erano considerati esemplari per un’Europa che dalla metà del Cinquecento li stava imitando ovunque. Sorgevano un po’ dappertutto e rappresentavano un grande sforzo comune per salvaguardare la salute dell’intera penisola. Una unità sanitaria anticipata di secoli che garantiva anche una circolarità di informazioni sullo stato delle epidemie. Non a caso, spesso, anche in contrapposizione con i medici, gli ufficiali di sanità in tempi di peste godevano della massima autorità.
Tuttavia, già con l’avvento dell’età moderna si preparava un periodo di profonda crisi dell’arte medica grazie all’intervento di vari fattori. L’invenzione della stampa aveva avuto come effetto, grazie a una ricca fioritura editoriale, la diffusione di libri stampati e divulgativi favorendo una maggiore circolazione di idee e conoscenze.
La caratteristica geografica dell’Italia circondata dal mare, attraversata da un andirivieni di uomini e merci, la rende un luogo di elevata ricettività patologica. I traffici nei paesi lontani epidemiologicamente diversi accelerano la circolazione delle malattie contribuendo all’unificazione microbica. Siamo in un tempo di lunghi viaggi, esplorazioni e commerci seguiti alla scoperta del Nuovo Mondo. L’Europa è invasa da una nuova peste, la sifilide, e a sua volta regala ai nativi americani vaiolo, tubercolosi, morbillo.
Intorno agli anni Trenta del Cinquecento, Girolamo Fracastoro (1478-1553) dava battesimo al mal franzese con un poema in esametri latini Syphilis sive De morbo gallico (1530) in cui avvalorava la tesi che il morbo fosse importato da oltreoceano, pur riservando ampio spazio al timore del castigo divino come punizione di una società corrotta. Fracastoro ebbe anche il merito di introdurre un importante elemento di novità con il trattato De contagione et contagiosis morbis et eorum curatione attribuendo la responsabilità dell’origine delle malattie non tanto “all’aere corrotta” ma a un veleno – virus – presunto agente dei morbi epidemici.
Nel corso del Rinascimento gli ospedali, che nel Medioevo erano soprattutto luoghi di carità assistenziale, si trasformano in luoghi di cura intesa più propriamente come terapia. Il sistema ospedaliero rinascimentale non è più finalizzato al semplice aiuto degli infermi, poveri, ma si assume il compito di rimettere in salute tutti i malati suscettibili di guarigione, attuando la separazione dei malati inguaribili da quelli guaribili. Nella realizzazione di questa ‘riforma ospedaliera’ sono coinvolti medici e chirurghi con il compito di effettuare una prima valutazione diagnostica per il conseguente smistamento dei malati.
La riforma riguarda sia l’aspetto organizzativo nell’ambito socio sanitario sia l’ordinamento giuridico amministrativo sia ancora l’aspetto etico-pratico.
Tra il XVI e Il XVII secolo si apre la stagione dei medici eretici, anch’essi protagonisti della rivoluzione scientifica rinascimentale sui quali la figura dell’autorictas non fa più presa poiché la vera madre della conoscenza è l’experentia
La scienza medica subisce, così, una graduale e profonda trasformazione. Si fanno strada i nuovi medici come l’anatomista medico fiammingo Andrea Vesalio (1514-1564) che esalta il valore della pratica e cioè della conoscenza diretta che non parte da presupposti teorici, ma si basa sull’osservazione del corpo attraverso la dissezione al fine di scoprirne il suo funzionamento. È lui l’antesignano dell’anatomia chirurgica che mette in discussione il metodo scientifico di Galeno su cui si era fondato sino ad allora gran parte del sapere medico.
Si assiste contemporaneamente all’innovazione clinica con Giovanni Battista Del Monte, caposcuola di medicina a Padova fino al 1551, che porta i suoi studenti a verificare attraverso l’osservazione dei malati quanto avevano appreso dai testi.
Figura di spicco, anche se controversa e a suo modo protagonista della rivoluzione epistemologica, è Paracelso (1493-1541) che, con atteggiamento provocatorio, faceva ‘volantinaggio’ nell’università di Basilea, minacciando di mettere a soqquadro la medicina ufficiale e gettava al rogo le opere di Aristotele, Galeno ed Avicenna. È lui a introdurre l’idea di un medico nuovo per il quale il magistero viene dalla experientia diretta delle malattie, a cominciare da quella di minatori e contadini, e dalla sperimentazione dei rimedi provenienti dalle viscere della terra come le acque termali e minerali oppure elaborati a partire dai metalli. In questo modo anticipava quelli che sarebbero stati i successivi sviluppi della iatromedicina. Esaltava la medicina manuale sostenendo che la chirurgia, fino ad allora esercitata da barbieri e cerusici, non doveva essere separata dalla pratica medica.
In contrasto con la medicina intellettualistica, la scienza moderna tendeva ad esaltare la verità e l’efficacia dell’esperienza e di una tecnica imitativa della natura. Bollando con l’appellativo di falsi dottori quelli licenziati dalle facoltà universitarie, mettendo cosìin crisi le gerarchie professionali.
In quegli stessi anni Francois Rabelais (1494-1553) frate francescano nominato medico all’Hotel de Dieu di Lione, nel suo Pantagruel, criticava in modo sferzante la medicina scolastica verbosa e formalistica. In Italia il modenese Gabriele Falloppio (1523-1562) descriveva, nelle sue originali Observationes anatomicae, le tube uterine. Al chirurgo innovatore, capace di curare le ferite da guerra, Leonardo Botallo (1519-1588) si deve la scoperta del forame ovale interatriale e del dotto arterioso che unisce l’aorta con l’arteria polmonare da cui prendono il nome.
Non meno rilevante è l’attenzione ai rimedi poveri provenienti dalla natura, all’azione terapeutica delle erbe medicinali in concomitanza con la crescita dell’arte botanica. In questo ambito si inseriscono i medici-maghi tra cui Girolamo Cardano (1501-1571), Andrea Cesalpino studioso di piante e di metalli e Francesco Bonafede (Padova 1545) artefice dell’hortus medicinalis che si caratterizzava come laboratorio di farmaci. Ulisse Aldrovandi (1522-1605), poi, estende la propria competenza enciclopedica non solo agli erbari ma ai lapidari e ai bestiari e diviene a Bologna Lector de fossilibus, plantis et animalibus.
Con Scipione Mercurio (ex fra’ Girolamo, domenicano) si compie un passo in avanti nell’arte dei parti; nei tre libri scritti in volgare della Comare o ricoglitrice (Venezia 1596) svolge un’accurata trattazione del parto normale e difficile ed elargisce consigli sulla gravidanza e le prime cure del neonato, comprese le malattie ostetrico ginecologiche e le malattie della prima infanzia.
Nei primi trent’anni del Seicento si arricchiscono le conoscenze della fisiologia con la medicina statica del medico istriano Santorio (1561-1636): De statica medicina, (Venezia 1614) e con la medicina cinematica: De motu cordis et sanguinis in animalibus (Francoforte 1628) e del medico inglese William Harvey (1578-1657), membro dal 1609 del Royal College of Physicians, medico nelle corsie dell’ospedale St.Bartholomew e medico ordinario del re d’Inghilterra.
La medicina meccanica o iatromeccanica si sviluppa nel Seicento sul terreno fecondato dalla scienza di Galileo e dalla filosofia di Cartesio e di Hobbes. Alla macromacchina harveyana propellente il sangue venivano ad aggiungersi la macromacchina osteo-artro-muscolare della locomozione descritta da Giovanni Alfonso Borelli (1608-1679): De motu animalium e le micromacchine organiche descritte da uno strumento ottico nuovo, l’occhialino o perspicillum, battezzato poi microscopio.
Con l’uso del microscopio si avvia una nuova disciplina: l’anatomia microscopica inaugurata da Marcello Malpighi (1627- 1694.) di cui è considerato il fondatore. Ai suoi studi dobbiamo la descrizione della fine struttura degli alveoli polmonari, dei glomeruli renali, dei capillari sanguigni e le prime osservazioni sulla composizione del sangue.
In parallelo alla nascita della anatomia microscopica l’attenzione viene rivolta alla composizione chimica, agli elementi essenziali che compongono la materia vivente. Si parla di medicina chimica o iatrochimica di cui Paracelso era stato precursore. In Italia uno dei sui massimi rappresentanti è Tommaso Cornelio. In Inghilterra la iatrochimica trova i suoi massimi sostenitori nei fisiologi di Oxford tra cui Robert Boyle (1627-1691) che ha posto le basi della chimica moderna.
La cultura medico scientifica inglese, che aveva il suo fulcro tra Oxford, Cambridge e Londra produceva tre grandi opere: l’Anatomia hepatis di Francis Glisson(1597-1677), la Cerebri anatome di Thomas Willis (1621-1675) e il Tractatus de corde di Richard Lower (1631-1691). Con Thomas Willis, autore delle prime trasfusioni di sangue sui cani, si inizia a ipotizzare di allungare la vita mediante un ricambio di sangue anticipando i benefici che in futuro si realizzeranno con il trapianto d’organi.
Con Thomas Sydenham (1624-1689) si inaugura anche una più moderna pratica clinica basata su una medicina di osservazione. Sydenham è un medico di successo proprio nella Londra che nel 1660 viveva la restaurazione monarchica e nel 1664-1665 la grande peste. Frequentando assiduamente le corsie di St. Bartholomew compiva il suo studio sui colpiti da peste e vaiolo osservando direttamente i sintomi e gli effetti delle cure sul decorso della malattia ed elaborava dati statistici.
La nascita di una nuova medicina e del medico nuovo, in antitesi all’ideologia galenica, maturava nelle accademie seicentesche italiane, tedesche e francesi: l’Accademia romana dei Lincei fondata nel 1603 dal principe Federico Cesi, l’Accademia toscana del Cimento istituita nel 1650 dal granduca Ferdinando II, l’Accademia bolognese degli Inquieti, la napoletana degli Investiganti, la magdeburghese (di Halle) dei Curiosi della natura, sino alla francese Academie Royale des Sciences istituita da Jean Baptiste Colbert nel 1666. In questi luoghi di ricerca scientifica, medici brillanti investigavano sulle cause e le proprietà dei fenomeni naturali, sperimentando sui fenomeni osservati, operando a contatto dei fisici e dei chimici, elaborando nuovi modelli naturalistici, fisiologici e biologici.
L’accademico del Cimento Francesco Redi (1626-1698) attraverso il suo lavoro sperimentale confuta la teoria della generazione spontanea nell’Omne vivum ex ovo. Pone inoltre le basi della moderna parassitologia con Le osservazioni intorno agli animali viventi che si trovano negli animali viventi. Numerosi sono poi i contributi che provengono dalle accademie dell’Europa continentale.
Il medico modenese Bernardino Ramazzini (1633-1714), con le sue osservazioni sugli ambienti di lavoro e le condizioni di vita legate alle mansioni più umili, introduce una novità negli studi sulla salute estendendo l’attenzione della scienza medica ai lavoratori e alle loro malattie.
Il Seicento, soprattutto nei primi due terzi, era stato caratterizzato da carestie, malattie ed epidemie con crisi di sussistenza ed elevata mortalità. Tra le due grandi pesti secentesche la milanese e la londinese si era inserita quella del 1656 che, con elevata mortalità, aveva colpito Roma e Napoli.
Queste epidemie, sommate ad altri fattori, avevano determinato un forte calo della popolazione a cui avevano contribuito anche il vaiolo e il tifo petecchiale, favorito a sua volta dalla sottoalimentazione e dall’indebolimento della popolazione.
Nel Settecento si assisterà a una inversione di tendenza. Accanto a un’accelerazione del progresso scientifico si verificherà una straordinaria crescita demografica. L’aumento numerico della popolazione non è ascrivibile tanto alla rivoluzione scientifica quanto piuttosto alla maggiore disponibilità di alimenti e di conseguenza a un miglioramento della nutrizione.