Pasqua 2025 – Pensare agli altri, ottant’anni dopo
Pasqua 2025 – Pensare agli altri, ottant’anni dopo
Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.
Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.
Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.
Mentre dormi contando i pianeti, pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.
Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.
Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e di’: magari fossi una candela in mezzo al buio.
— Mahmoud Darwish (2005)
In questa Pasqua, segnata da un tempo di conflitti, sofferenze e ingiustizie, siamo chiamati a non dimenticare chi vive ai margini, chi soffre l’assenza di un rifugio sicuro o la negazione della propria voce. Pensa agli altri di Mahmoud Darwish ci ricorda che ogni gesto ha un’eco. Che anche nel quotidiano — una colazione, una bolletta, una parola — c’è lo spazio per un’etica della cura.
Questo stesso invito a “pensare agli altri” trova una risonanza profonda nella Pasqua cristiana che, attraverso la passione, la morte e la resurrezione, ci parla di dolore e di possibilità. Di una luce che, pur flebile, insiste nel buio. E proprio in questi giorni, a ottant’anni dalla Liberazione, quella speranza si fa memoria storica.
Era l’aprile del 1945 quando il nostro Paese si liberava dall’occupazione nazista e dalla dittatura fascista. Un anno più tardi, la Pasqua cadeva a ridosso del primo 25 aprile celebrato in un’Italia finalmente libera: un’altra forma di “resurrezione”, non solo spirituale ma civile. In quel contesto, la festività assumeva un significato nuovo, condiviso anche da chi non si riconosceva nella sua dimensione religiosa: “rinascere” significava ricostruire, immaginare, rimettere in moto la vita.
La letteratura di allora ci ha consegnato delle immagini che resistono al tempo e continuano a parlarci con sorprendente vitalità. Caproni, con il suo Passaggio di Enea, ci propone non l’eroe della tradizione epica, ma un uomo che cammina attraverso le rovine, con il padre sulle spalle e il figlio per mano: una figura che si fa carico del peso della storia, un ponte tra passato e futuro, segnato dalla fatica del presente. Allo stesso modo, Quasimodo, con la sua domanda “E come potevamo noi cantare”, restituisce il volto di una libertà che non è semplicemente ritorno alla normalità, ma impegno a ricostruire dopo l’oscurità della guerra.
Oggi, a ottant’anni di distanza, tornare su quelle immagini non è un mero esercizio commemorativo, ma un gesto di responsabilità che ci ricorda che la libertà — come la pace e la giustizia — non è mai garantita per sempre. Richiede attenzione, memoria, scelta. E che la Pasqua può essere ancora un passaggio: un tempo per fermarsi e pensare, per orientarsi tra ciò che è stato e ciò che può ancora essere.
Pensare agli altri, allora, è forse il modo più autentico per onorare quella memoria, portando con sé l’esile fiamma di una candela che, come l’unica corda che suona nella lira muta della Speranza di George Frederic Watts, può ancora rischiarare il buio.