di Giorgio Aimetti
Claudio Donat-Cattin era mio amico, un amico vero, uno di quelli che ascoltavano dubbi e speranze, uno che sapeva come aiutarti e aveva il piacere di farlo, che condivideva con te l’amarezza per le cose che andavano storte.
L’avevo conosciuto nei giorni di Regione Democratica il mensile della sinistra Dc piemontese che lui animava, stando sempre un passo dietro ai suoi collaboratori. Io avevo 22 anni e la passione della politica. Lui la passione del giornalismo, la professione che svolgeva senza risparmiarsi e senza riposo.
Avevamo ricominciato a collaborare in modo anche più stretto quando suo padre aveva deciso di fondare Lettere Piemontesi e Terza Fase.
Claudio anche in quei mensili aveva saputo svolgere un’azione decisiva per trasformarli nello strumento di un dialogo e di un confronto che animavano la sinistra sociale nella DC.
La scomparsa di Carlo Donat-Cattin era sembrata a tutti non solo la fine di una politica, ma anche la fine di un’epoca. Era sembrata a noi. Claudio invece ci aveva richiamati subito alla necessità di essere fedeli ad un impegno, alle idee che suo padre aveva professato, ai valori che aveva messo in cima al fare politica.
E primo tra tutti si era dedicato in un modo accanito, radicale, senza riposo. Con una capacità vulcanica di ideare, progettare, mettere a frutto gli strumenti che la sua professione gli consentiva.
Così era nata la fondazione Donat-Cattin (uno strumento diventato subito importante per ricordare il passato e progettare il futuro). Con quanto sacrificio, anche economico, la famiglia abbia affrontato quella sfida, lo sanno solo gli intimi.
Io ricordo che Claudio non dimenticava certo di aver dissentito da tante idee del padre, ma era diventato quasi esecutore di un testamento politico e ideale, il più attento animatore di un progetto culturale che oggi ne continua la storia e sopravvive alla politica.
Caro Claudio, io credo che nessuno di noi, che abbiamo condiviso parte della vita con te, possa dimenticare l’entusiasmo, la forza del tuo impegno. La passione totale che lo ha caratterizzato. Per ciascuno di noi, dimenticarlo, fare un passo indietro sarebbe, credo, il modo per darti l’ultima delusione, l’ultimo dispiacere.