Con la morte di Gerardo Bianco scompare uno degli ultimi grandi democratici cristiani. È stato democristiano per appartenenza partitica, ma soprattutto lo è stato per cultura politica. Figlio dell’umanesimo del mezzogiorno, formato all’Università Cattolica di Milano, ha messo le sue doti intellettuali al servizio del cattolicesimo politico insieme ad una piccola pattuglia di giovani irpini che negli anni ’60 sono stati tra i protagonisti del dibattito sulla prospettiva del Centro Sinistra. Un cattolicesimo politico caratterizzato dalla profondità dell’ispirazione e dall’autonomia laica delle scelte, che lo ha portato negli anni ’90 a diventare l’indiscusso protagonista della stagione del nuovo Partito Popolare. Ha creduto nell’Ulivo, di cui a pieno titolo deve essere considerato tra i fondatori, come luogo in cui le culture politiche storiche del Paese potessero dare il meglio di se stesse; ha combattuto l’idea di una politica priva di radicamento ideale e culturale, tutta ripiegata sulla prospettiva di governo. Per questo era convinto che una nuova stagione politica non potesse fare a meno dell’identità dei cattolici democratici e popolari.
Gerardo Bianco è stato un uomo libero, che non si è mai appiattito sulle correnti e sul potere. È stato ospitato molte volte, nei congressi della Democrazia Cristiana, dalle liste di Forze Nuove, in un rapporto di stima e di amicizia che lo ha sempre legato a Carlo Donat-Cattin. Anche per questo, per una consonanza costruita sulla convergenza delle idee, lo ricordiamo con affetto e rimpianto.