9-10 giugno 2022
Milano
Con la pubblicazione del volume Quando l’operaio diventa cittadino. Statuto dei lavoratori: una storia di diritti (Roma 2016), la Fondazione Carlo Donat-Cattin di Torino ha intrapreso una ricerca storica incentrata sulla stagione politica e sindacale degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, segnati da uno sviluppo industriale tanto impetuoso quanto irregolare, oltre che problematico per la difesa delle libertà personali e collettive dei lavoratori.
Quel lavoro sulla genesi, i contenuti e il percorso di approvazione dello Statuto dei lavoratori ha certamente evidenziato un contributo proteiforme delle culture politiche e sindacali del tempo. In particolare, grazie alla collezione di fonti archivistiche di varia provenienza, è stato possibile enucleare l’evoluzione del partito della Democrazia cristiana, nella sua parabola d’uscita dal centrismo al centrosinistra. La collaborazione con i socialisti, specie in tema di dignità, libertà e sicurezza nei luoghi di lavoro, fu un’azione necessaria per il più generale piano di riforme atto ad affrontare i ritardi del Paese non meno che i nuovi problemi posti dalla trasformazione economico-sociale. E nel caso dello Statuto la scelta governativa si risolse essenzialmente in una promozione della legislazione di appoggio e dell’investimento nel sindacato.
La ricostruzione ha riguardato sia i protagonisti di quella vicenda (da Pietro Nenni a Giacomo Brodolini, da Gino Giugni a Carlo Donat-Cattin) sia le istanze più profonde della società italiana espresse da movimenti, associazioni, milieu culturali capaci di animare e orientare l’opinione pubblica.
In questa direzione si potrebbero ancora gettare diverse sonde. I depositi archivistici restituiscono oggi nuove stratificazioni, così come non sarebbe difficile ampliare il raggio delle consultazioni della pubblicistica di settore. Esiste poi una serie di significative videointerviste realizzate a una serie di attori e testimoni dei momenti nodali dell’elaborazione dello Statuto dei lavoratori. Tra gli altri si segnalano i colloqui con Giuseppe De Rita, Pierre Carniti, Giovanni Bianchi, Giuseppe Tamburrano, Giorgio Benvenuto. Si tratta di un patrimonio importante, ancora sostanzialmente da valorizzare.
Convegno Università Cattolica
La Fondazione Donat-Cattin ha partecipato al convegno Democracy beyond revolution organizzato dall’Archivio “Mario Romani” dell’Università Cattolica di Milano. Si è trattato di una importante assise scientifica internazionale, che ha fatto il punto sugli studi in materia di cristianesimo sociale in Europa e in America Latina. Il nostro contributo, predisposto da Alessandro Parola, ha illustrato i risultati delle ricerche condotte sulla stagione sindacale del 1969 e sull’approvazione dello Statuto dei lavoratori. Una vicenda che mette in luce un nuova e complessa relazione tra azione sindacale ed azione politica e governativa con al centro il ruolo del ministro democristiano Carlo Donat-Cattin. Anticipiamo ampi stralci della relazione del prof. Parola, che sarà pubblicata negli atti del convegno.
di Alessandro Parola
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I decenni degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso sono stati indubbiamente caratterizzati per l’Italia dalle maggiori trasformazioni sociali, economiche e culturali. In corrispondenza del boom economico, vi è stata un’evoluzione profonda della realtà produttiva industriale, con importanti ricadute sulle condizioni dei lavoratori. Di conseguenza, il quadro politico e sindacale si è trovato a fare i conti con situazioni inedite, di grandi potenzialità non meno che di forti tensioni e discussioni.
È in questo alveo che la questione dei diritti dei lavoratori ha registrato un’accelerazione. Non perché vi sia stata una reconquista della classe lavoratrice, ma per la maturazione dei rapporti socio-economici, politici e sindacali a cui portarono i propositi riformatori e i movimenti di massa. L’esito iconico è stato lo Statuto dei lavoratori, che per legge ha fissato alcuni diritti fondamentali, affidandoli perlopiù alla tutela dei sindacati. Ai quali è stata indicata la strada dei nuovi mezzi partecipativi e dell’evoluzione verso forme sempre più democratiche. Interessante notare come questo investimento sia stato frutto del confronto di due filosofie: la linea garantistica o costituzionalistica, per la quale era necessaria una normativa che ribadisse per i lavoratori i diritti garantiti dalla Costituzione a tutti i cittadini; la linea promozionale che richiedeva un riconoscimento del ruolo del sindacato per radicarlo nei luoghi di lavoro e attribuirgli una serie di prerogative, al fine di consentirgli di tutelare i diritti dei lavoratori nel concreto della vita aziendale. Resta da rimarcare la spinta dell’autunno caldo. Non tanto le carte, quanto le testimonianze di chi ha vissuto quell’epoca dicono che le esigenze dei lavoratori, a un certo punto, si sono imposte e hanno richiesto risposte concrete.
La Fondazione Carlo Donat-Cattin di Torino ha promosso una ricerca complessiva sulla stagione del riformismo e sull’iter che ha portato all’approvazione della legge n. 300 del 1970. Il primo risultato è stato quello di selezionare e raccogliere le fonti disponibili: dall’archivio della Presidenza del consiglio dei ministri e del Ministero del lavoro, i cui fondi si trovano presso l’Archivio Centrale dello Stato, alle carte politiche e sindacali di enti, associazioni, fondazioni omologhe che a diverso titolo hanno contribuito a mantenere viva la memoria storica dei protagonisti di allora. Ben presto si è quindi manifestata un’altra esigenza, ovvero quella di ascoltare i superstiti, mettere insieme ricordi e testimonianze, ovvero costruire un archivio di fonti orali. Una ricognizione che ha fatto riscoprire anche una certa quantità di fonti audiovisive dell’epoca, molte delle quali scaturite dall’esperienza dei documentari del maggio francese.
L’esito è stato la pubblicazione di Quando l’operaio diventa cittadino, con un saggio dell’ex segretario nazionale della Cisl, Annamaria Furlan. In sintesi quella ricerca ha cercato di dimostrare che quella dello Statuto dei lavoratori non può essere narrata come una storia di parte. Serve perlomeno una prospettiva plurale: una storia di più parti, o meglio ancora storie diverse e complementari di parti che hanno contribuito a individuare una soluzione condivisa a un problema di comune responsabilità istituzionale. Centrale è poi il riconoscimento delle radici antiche dei diritti dei lavoratori, che affondano in una dimensione non economica e che traggono la loro ragion d’essere dai valori moderni dell’equità, della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro.
Uno studio che si è giocoforza intrecciato con le biografie politiche di chi svolse un ruolo decisivo per giungere all’approvazione dello Statuto: Giacomo Brodolini e Gino Giugni, prima, e Carlo Donat-Cattin, poi. E attorno a loro una Commissione di studio che, come spesso avviene, lavorò nell’ombra per preparare una posizione governativa sulle principali questioni inerenti lo Statuto. Ne fecero parte Giuseppe De Rita (consigliere delegato del Censis), Antonino Freni (vice avvocato di Stato), Federico Mancini (professore di diritto del lavoro all’università di Bologna), Giuseppe Pera (professore di diritto del lavoro all’università di Pisa), Ubaldo Prosperetti (professore di diritto del lavoro all’università di Roma), Luciano Spagnuolo Vigorita (professore di diritto del lavoro all’università di Bari), Giuseppe Tamburrano (referendario presso il Senato), Luciano Ventura (avvocato patrocinante in Cassazione). Il perimetro tematico lo aveva definito Gino Giugni: “tutela della libertà dei lavoratori, promozione del sindacato all’interno dell’azienda, mezzi di garanzia di tali principi fondamentali”. Il tutto nell’ottica di un potenziamento del sindacato, contro chi ne invocava invece un superamento. In quel contesto, come sappiamo, nacque la valorizzazione dell’esercizio di alcuni diritti fondamentali, quali l’assemblea , il divieto di discriminazione, la parità di trattamento. Misure che puntavano a inverare i diritti costituzionali attraverso l’incentivazione della sindacalizzazione. Il nucleo essenziale dello Statuto fu quindi delineato in quella sede, perché potesse avviarsi una successiva traduzione legislativa.
Molti sono i contributi di analisi e interpretazione che i testimoni oculari hanno offerto e in qualche caso possono ancora fornire. Nell’intervista concessa da Pierre Carniti (un video domestico e artigianale, ma inedito), l’ex sindacalista scomparso nel 2018 ha ben messo in evidenza come il tema del lavoro non si possa circoscrivere ad un ambito ristretto o a un segmento staccato della vita umana, in quanto con le lotte operaie e sindacali esso era diventato un emblema dell’intera esistenza, che involve il destino di tutto il genere umano. Ecco perché lo Statuto rappresentò il culmine di un riconoscimento della storia del lavoro come storia di civiltà.
Le questioni aperte e sostanzialmente insolute della ricerca sono diverse. Anzitutto un’analisi di quel che è avvenuto dopo la promulgazione della legge n. 300. Ovvero l’applicazione, l’interpretazione e anche le situazioni di contenzioso che ha generato, fino alle sentenze giudiziarie. Rappresentano un esempio del problematico rapporto tra magistratura e politica, che è stato un fattore costante della storia repubblicana.
Poi ci sarebbe da gettare una sonda sull’evoluzione del sindacato dopo lo Statuto. Il radicamento in azienda, la capacità contrattuale, l’autofinanziamento furono indubbiamente delle conquiste. Ma si accompagnarono a forme di involuzione aziendale, spinte corporative, dissociazione dalla base. Un sindacato che grazie allo Statuto accentuò, nel corso degli anni, la propria influenza politica, diventando un interlocutore forte su tutti gli aspetti della vita sociale.
A questa disamina potranno e dovranno contribuire quegli enti che, come la Fondazione Donat-Cattin, dispongono di molto altro materiale e hanno per statuto e missione l’obiettivo di tenere desta la memoria di quella stagione, ricca di fermenti sociali, di contributi culturali e di nuovi orizzonti politico-sindacali.