In ricordo di Maria Romana De Gasperi, riproponiamo il testo del suo discorso del 2 aprile 2004, tenuto durante l’incontro “De Gasperi, l’uomo della ricostruzione“, promosso dalla fondazione Carlo Donat-Cattin in collaborazione con la Fondazione Alcide De Gasperi e l’Associazione per la valorizzazione della democrazia in Italia.
Non c‘era il computer, non c’era il fax, non c’erano i telefonini, l’uomo non aveva messo piede sulla luna, incominciava appena la televisione con qualche film alla sera.
Come mai oggi cerchiamo di andare così indietro per vedere cosa facesse un uomo che viveva questo tipo di atmosfera, così diversa da quella di oggi? Quando stava passando le ultime ore della sua vita, ad un certo punto ci fu bisogno di un medico. Eravamo in montagna e questo medico abitava a molti chilometri di distanza dal paese. Mi dissero: “C’è bisogno di andare a chiamare un dottore”; “Benissimo – dissi – vado io”. Mio padre mi prese la mano e mi disse: “No, tu non andrai, resta con me”. Al momento pensai che fosse un gesto di affetto e invece più passava il tempo più immaginai che questo volesse dire che spettava a me coltivare la sua memoria, ricordarlo agli altri. Così cercai di fare pur essendo allora molto giovane. Cercai di raccogliere documenti da tutti, andai dai suoi vecchi amici a chiedere un ricordo per quanto difficile, cercai le sue carte e misi insieme un archivio e cominciai a pubblicare dei libri. Ho cercato assieme alla mia famiglia di pubblicare tutte le sue lettere, tutto quello che aveva scritto, che aveva meditato e pensato. Non è stato sempre facile, perché non è facile far leggere dei libri quando certe persone spariscono all’orizzonte. In genere la gente si stanca dei propri governanti ad un certo punto ha bisogno assolutamente di cambiare, non solo la persona, ma anche le sue idee, il suo modo di vivere, il suo modo di fare. Così avviene quasi sempre.
E quindi i primi anni furono veramente una fatica. Oggi invece che non si trovano più questi libri, cerchiamo di ripubblicarli tutti perché ci vengono richiesti.
Pensando a quello che avrei dovuto dire qui, oggi, ho pensato forse dovrei far parlare proprio mio padre, con le sue parole. Infatti guardando nei volumi dei suoi discorsi che ho raccolto ho cercato di vedere quelli dove lui parlava di se stesso, perché penso che in un momento come oggi dove c’è molta incertezza, poco coraggio per l’avvenire che non si vede abbastanza chiaramente, incapacità di trasferire ai nostri giovani delle idee forti, quello che resterà non sarà tanto il fatto che mio padre sia riuscito a ricostruire l’Italia, a fare le leggi, a mandare avanti un governo, a salvare la lira, sarà molto importante, io penso che gli storici debbono fare questo lavoro, ma quello che resterà sarà come ha fatto queste cose.
Ho chiesto a lui stesso come avesse fatto. Ricordo per es. che raccontò che la prima cosa che egli fece da giovane fu andare a trovare i poveri. Quali poveri? Quelli che lavoravano, ma in situazioni terribili, ed erano i segantini della Val di Fiemme. Mi disse che aveva dovuto aiutarli a ribellarsi per ridurre da 14 a 10 le ore di lavoro al giorno.
Un amico l’anno scorso mi disse il 2004, a 50 anni dalla morte di mio padre, sarebbe stata l’ultima occasione per parlare. Allora pensai che tutti questi convegni, questi discorsi, questi scritti sui giornali, sulle riviste, fossero davvero cose inutili se si dovevano solo leggere quest’anno. Erano soltanto commemorazioni. Oggi invece credo che sentiamo la necessità di rispolverare certe sue idee.
Oggi cerchiamo qualcosa che ci aiuti a impegnarci un po’ di più per la nostra vita. Infatti il suo nome viene proposto per questa ragione quasi fosse una cintura di salvataggio per quelle virtù civili di cui la nostra società ha particolare bisogno.
Egli seguì alcuni principi fondamentali: primo impegnarsi a fondo mai a metà. Quando si ha una convinzione e si è chiamati a una certa responsabilità allora non ci sono limiti a tutte le fatiche e alle avversità. Tutto lo spirito deve essere dedicato a quel lavoro. Ricordatevi – diceva – che un uomo può avere molte amicizie e ricevere molti consigli, ma al momento di decidere qualunque cosa egli rimane solo davanti alla propria coscienza.
Ha scritto ancora a questo proposito: “Accanto alla tenacia formale sapete che cosa c’è? C’è questo: io lavoro per uno scopo superiore agli interessi intesi come beni materiali, ma secondo certi principi fondamentali della coscienza cristiana. Che m’importa allora se riuscirò o non riuscirò a comporre un ministero? Quando per es. cominciano le trattative, a me non importa di uscire; mi impegno a fondo se non riesco ho salvato la libertà della mia coscienza.
Un’altra cosa che vi voglio lasciare e alla quale voglio attenermi è mantenere la parola data anche quando ho girato il mondo povero e ramingo e spesso con il cappello in mano soprattutto nei momenti quando ci si doveva presentare ai vincitori. Certamente qualcuno di voi ricorderà le grandi fatiche, le grandi umiliazioni, soprattutto le prime ai tempi di Parigi.
Più volte ha sottolineato anche un altro aspetto: “Da giovane ho imparato a non perdere la testa per la forma delle cose, per le manifestazioni pubbliche, le questioni di struttura”. Ricordo una volta che durante una campagna elettorale vicino a Genova si passava da un paese all’altro e molta gente gridava W De Gasperi, lo fermava, con le mani batteva sui finestrini. E allora egli mi disse: “Vedi capisco Mussolini, quando uno non riesce più a dividere la propria persona da quello che rappresenta”. Questa era la sua mentalità.
Bisogna andare a fondo, vedere l’essenziale, saper discernere nell’insieme delle discussioni e delle idee la questione semplice, come deve fare il padre di famiglia quando fa il suo bilancio, cercare sempre la verità. Amministrare quindi la cosa pubblica come si amministra la cosa privata. Bisogna tenere al concreto, come il popolo delle montagne, che è meno incline a subire il fascino delle parole inutili. Guardare infine alla sostanza.
Direi che per questo e per altre cose come queste, oggi vale la pena di rileggere De Gasperi, perché egli col suo modo di vivere e di agire rispondeva a principi che ancora oggi mantengono il loro valore. Se certe situazioni politiche non sono cambiate, possiamo ricordare come sia ancora valido promuovere questo modo di sentire nell’anima la fraternità universale che gli permetteva di affrontare le piccole avversità quotidiane come quelle nazionali o internazionali, superando ostacoli e scoraggiamento, e guardando ad una più vasta comunità di popoli ricercata con lealtà e con tenacia.
Gli storici possono studiare, devono analizzare a fondo la sua vita politica, ma incontreranno sempre le parole del suo testamento, scritto tanti anni prima, quando noi eravamo delle bambine: “Non posso lasciar loro mezzi di fortuna, perché alla fortuna ho dovuto rinunciare per tener fede ai miei ideali. Leggendo le mie lettere e qualche appunto esse impareranno ad apprezzare la giustizia, la fratellanza cristiana e la libertà”. Grazie.
Il ricordo nel servizio di Federico Plotti (TG2000)
Maria Romana De Gasperi e suo padre Alcide negli Stati Uniti nel gennaio 1947 (Agence France Presse)